sabato 6 febbraio 2010

SUPPLEMENTO (7-02-2010)

Supplemento al numero 1 • anno 1 • dicembre 2009

Bollettino a cura del C.L.I.I.U.



A FIANCO DEI LAVORATORI IMMIGRATI DI ROSARNO


Quanto accaduto a Rosarno all’inizio dell’anno deve indurre tutti ad una riflessione. In questa cittadina della Calabria gli immigrati si sono ribellati contro condizioni lavorative e di vita letteralmente disumane.
Il fenomeno del super-sfruttamento è diffusissimo in tutta l’agricoltura. Sia dove (come nel Sud Italia) c’è un’alta presenza della mafia, sia dove la mafia non c’è. Ad esempio negli Stati Uniti i pomodori californiani, le arance della Florida e i mirtilli del Michigan, sono raccolti da lavoratori immigrati che vivono condizioni molto simili a quelle a cui erano costretti i braccianti africani di Rosarno. La verità è che sul super-sfruttamento dei lavoratori, guadagnano soprattutto le grandi aziende nazionali ed internazionali e che nel meridione la mafia nei fatti lavora al loro servizio. Di fronte alla giusta rivolta di Rosarno, il governo Berlusconi ha risposto mandando la polizia contro gli immigrati e mentendo secondo cui i cosiddetti “clandestini” costituirebbe un grave pericolo per tutta la società italiana.
Di fronte a tutto ciò bisogna ricordare che:
1. A costringere in “clandestinità” tanti immigrati è stato proprio il governo con la sua politica e con la legge razzista Bossi-Fini (continuatrice della Legge Turco-Napolitano).
2. I cosiddetti “clandestini” servono enormemente ai padroni e ai padroncini italiani, che hanno una gran fame di lavoratori con zero diritti da sottoporre al più bestiale sfruttamento. Ragione questa per non “regolarizzare” tutti gli immigrati non regolare.
Ma soprattutto bisogna ricordare che uno degli obiettivi fondamentali del governo è di scatenare una guerra tra lavoratori italiani ed immigrati per indebolirli entrambi. Facendo credere che i responsabili della disoccupazione, e tutte le conseguenze della crisi sono gli stranieri. Ed è proprio una “guerra tra poveri” che bisogna evitare con forza!!!!
Infatti, nessun lavoratore potrà mai ottenere una vita migliore scagliandosi contro altri lavoratori. Nessun lavoratore non potrà mai ottenere una vita migliore, fin quando altri lavoratori (come ad esempio gli immigrati di Rosarno) saranno costretti a vivere in condizioni di super-sfruttamento e permanente ricatto.
I lavoratori, potranno conquistare una vita migliore ed una società più degna, solo organizzandosi e lottando assieme ed unitariamente tra italiani ed immigrati.
Contro le politiche razziste del governo e del padronato, per i pieni diritti di tutti gli immigrati/e serve una risposta unita fra autoctoni e stranieri.

Comitato Lavoratori Immigrati ed Italiani Uniti




EDITORIALE:
Un giornale di battaglia, un giornale di collegamento

Qualcuno dirà: ma come, un nuovo giornale si va ad aggiungere al sempre più vasto elenco di fogli e bollettini dell’antagonismo sociale? Magari sarà il caso di puntualizzare che questa pubblicazione, di cui è già uscito un numero 0, presenta dei caratteri originali che ne giustificano l'uscita.
Stiamo parlando, infatti, dell’organo di stampa del Comitato Lavoratori Immigrati e Italiani uniti: una struttura aperta, in cui possono lavorare persone che hanno anche significative differenze culturali e politiche, ma che si uniscono attorno ad obiettivi chiari e sulla base di precise discriminanti.
La prima – che questo giornale esprimerà in ogni suo articolo – nasce da una precisa consapevolezza: la lotta degli immigrati, nell’ultimo decennio, ha fatto un salto di qualità, dall’autorganizzazione basata sull’origine geografico al Comitato Immigrati, organizzazione di lotta per i diritti di tutti gli immigrati.
Partita alla fine degli anni ’80, nel segno dell’intreccio con quella mobilitazione antirazzista che vedeva l’attivismo, certo meritorio, dell’associazionismo solidale, essa ha progressivamente mutato i connotati. Soprattutto nella metropoli, è sempre più la lotta di un settore del proletariato che – in quanto sottoposto da ogni punto di vista all’attacco peggiore da parte di Stato e padronato – invoca e cerca di praticare l’unità con gli altri comparti di classe. Nella consapevolezza che un miglioramento nelle condizioni lavorative e di vita degli immigrati non può che riflettersi positivamente sul vissuto di tutti gli altri soggetti sfruttati e che quindi, anzitutto per questo, ancor prima che per nobili discorsi tipo il “rispetto delle culture diverse”, i lavoratori italiani devono evitare di farsi abbindolare da chi indica negli immigrati i loro nemici.
D’altro canto, l’attacco contro gli immigrati è talmente complessivo che – come dimostra, su queste pagine, un articolo che muove dal caso di Stefano Cucchi – è su di loro che è stata in primo luogo sperimentata, attraverso i CIE (ex-CPT), quella sospensione totale del diritto che ora tocca da vicino anche molti giovani italiani.
Dunque, il nostro giornale non nasce da una spinta “avanguardistica”, dalla mera declamazione di ciò che sarebbe necessario a chi subisce lo sfruttamento: semmai vengono colte, qui, dinamiche già in atto, facendo loro da cassa di risonanza e cercando – nei limiti dei propri mezzi – di sospingerle in avanti. Affinché il generoso ma generico antirazzismo solidale che per molto tempo ha dominato a sinistra e che ancora affiora nei cortei, sia superato e si scrivano nuove pagine del conflitto sociale in questo paese.
Risulta evidente, allora, che stiamo parlando di un giornale che non si sottrae alla battaglia politica. Ma, attenzione: essa è intesa in termini diversi da come viene legittimamente portata avanti da gruppi e/o organizzazioni che si muovono sul piano di una progettualità complessiva. La nostra battaglia è soprattutto volta a non ridurre la questione immigrazione nei termini di un’emergenza democratica o della pur giusta affermazione del multiculturalismo. Se con il “Pacchetto Sicurezza” l’Italia ha fatto un passo decisivo verso l’istituzionalizzazione del razzismo, è anche vero che tale provvedimento si colloca in sostanziale continuità con le politiche portate avanti dai governi precedenti di vario colore. Politiche che si sono tradotte in leggi di chiaro segno (Turco-Napolitano, Bossi-Fini), animate dalla volontà di privare gli immigrati di diritti per meglio sfruttarli, nonché di farne il soggetto verso cui dirottare la rabbia dei lavoratori italiani.
È allora impossibile non considerare questi temi come legati alla contraddizione tra capitale e lavoro in questo paese. D’altro canto, proprio partendo da un’analisi concreta della presenza degli immigrati nella penisola, si possono ricavare utili indicazioni su come sono cambiati il mercato del lavoro e la struttura produttiva dell’Italia.
In questo giornale, quindi, affronteremo via i molteplici aspetti della realtà dell’immigrazione, sforzandoci di ricomporli entro il quadro interpretativo appena accennato.
In tal senso, nel contesto di un rapporto con le realtà del movimento antagonista che


riteniamo dover essere basato sulla collaborazione e la franchezza, vorremmo sottolineare una cosa. Oggi, a fronte di un dispositivo ormai organico che ribadisce la subalternità degli immigrati in ogni ambito della vita associata, non ci si può limitare ad isolare un aspetto della condizione immigrata per svolgere attorno ad esso una campagna pressoché esclusiva. Sono utili e talvolta belle le manifestazioni davanti ai CIE, ma lo sarebbero ancor di più se veramente interne ad un percorso generale, capace tanto di ricondurre ogni aspetto dell’attacco contro gli
immigrati al suo disegno unitario quanto di iniziare a creare ponti verso settori del proletariato italiano.
Chi si muove nel dispersivo territorio della metropoli sa benissimo, d’altra parte, che il primo passo da compiere verso l’agognata unità tra gli sfruttati è la creazione di collegamenti, più o meno stabili, tra le realtà in lotta. A ciò non si arriva facilmente. Il padronato non divide solo i proletari stranieri da quelli italiani, ma anche questi ultimi tra di loro. In particolare, la ristrutturazione del mercato del lavoro ha frammentato gli sfruttati in miriadi di figure sociali diverse, legate a forme contrattuali d’ogni tipo, creando la possibilità di costruire un’opposizione tra chi vive una condizione di precarietà estrema ed i cosiddetti “garantiti”, in realtà lavoratori sotto attacco nelle tutele conquistate con decenni di lotte.
In un quadro siffatto, però, un giornale che ha tra i suoi referenti le realtà in lotta può svolgere un ruolo. Perché i soggetti raggiunti su queste pagine potranno confrontare la loro esperienza con quelle, analoghe, di altri, mettendo meglio a fuoco l’idea che la loro battaglia per la difesa del posto di lavoro può esser veramente vinta solo se interna ad una mobilitazione più generale. Comprendendo, inoltre, che il lavoratore immigrato è un potenziale alleato, che vive ulteriormente esacerbata rispetto agli italiani una condizione di sfruttamento.
Dunque, è così che si vuole contribuire all’unità che da tempo ormai invochiamo: trasformando queste pagine in uno strumento per la circolazione ed in prospettiva il collegamento tra le lotte. L’unità non si può perseguire astrattamente, ma muovendo dal concreto. Il che può significare anche un’altra cosa.
Occorre dotarsi di tutti gli strumenti per conoscere davvero i soggetti sociali cui ci rivolgiamo, per sapere come vivono, come percepiscono se stessi. In tal senso si muove l’ipotesi di inchiesta che qui presentiamo, volta a comprendere come gli immigrati leggono gli episodi di razzismo che quotidianamente subiscono.
Uno strumento per allargare i contatti e per capire: per individuare i modi di sentire e le spinte anche di quegli immigrati che appartengono alle comunità che sono state meno attive nelle lotte di questi anni.
Il punto è questo: solo chi non ha un quadro precostituito, sganciato dall'esperienza concreta e dunque mitico della classe di riferimento, può davvero contribuire all’obiettivo di fondo per cui lavoriamo. Forse il più essenziale tra quelli che oggi deve perseguire chi vuole superare lo stato di cose presenti.

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Denunciamo le colpe pubbliche
della morte di Sher Khan


Manifestazione
e saluto alla salma di Sher Khan

Giovedì 17.12.2009 ore 17.00 Piazza Vittorio
L'associazione Dhuumcatu invita tutti i compagni, la stampa, le televisioni a diffondere la notizia di questa morte, denunciando che Sher Khan non è morto per il freddo. Della sua morte è responsabile l'amministrazione cittadina. A causarla la pressione psicologica che quest'uomo ha dovuto subire e che è culminata con i 40 giorni di detenzione a Ponte Galeria senza il trattamento medico che da anni Sher Khan seguiva. Le Autorità, quando venerdì scorso lo hanno rilasciato da Ponte Galeria, lo hanno fatto solo per non essere responsabili di questo assassinio.

Accusiamo il Comune di Roma di aver perseguitato Sher Khan, prima sgomberandolo da via Salaria e poi lasciandolo in strada a morire, quel Comune di Roma che manda i vigili a sgomberare i giardini di Piazza Vittorio ma che non si accorge che una persona giace a terra in una notte freddissima.

Siamo convinti che il Governo e l'amministrazione locale abbiano aiutato Sher Khan a morire, perché lui non ha mai abbassato la testa davanti alle discriminazioni e al razzismo.

La salma sarà trasferita da Roma a Milano e da Milano in aereo in Pakistan.
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Due parole sul caso Cucchi



Il caso di Stefano Cucchi per alcuni giorni ha occupato le prime pagine dei giornali. Ha, infatti, suscitato un certo scalpore la “notizia” di questo giovane geometra di Tor Pignattara morto “misteriosamente” nel reparto detenuti del Sandro Pertini.
Ormai è praticamente certo che a causare il decesso di Cucchi siano state le lesioni provocate da un pestaggio subito in carcere o nelle celle di “transito” del tribunale, sebbene l'indagine interna abbia già frettolosamente scagionato la polizia penitenziaria. Il rimpallo di responsabilità tra i carabinieri e la polizia penitenziaria non cambia di una virgola la sostanza. Al momento dell’arresto per detenzione di stupefacenti Cucchi è sano. Poi viene pestato e trasportato al Pertini. Qui muore dopo una penosa agonia. È solo grazie alla fermezza dei familiari che si viene a scoprire come, di fatto, si sia trattato di un vero e proprio omicidio a cui hanno concorso l’incuria e l’indifferenza con cui Stefano per lunghi giorni è stato trattato dai medici in ospedale.
La tragedia che ha colpito la famiglia Cucchi non è un fatto isolato ma “soltanto” la punta di un iceberg. I maltrattamenti (in parte denunciati) nelle carceri e nelle caserme sono tanti, così come tanta è la malasanità di cui quotidianamente soffrono e muoiono i lavoratori e i loro cari. Sono cose che si sanno ma che troppo spesso sì “dimenticano” e passano inosservate. Si pensi (lo riferisce la Repubblica del 16-11-2009) che dal 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morte più di 1.500 persone, 150 solo quest’anno, tra le quali 63 suicide (o presunte tali). Questa volta, però, di fronte alla morte di Stefano, tanta gente comune, gente che vive del proprio lavoro e sudore, si è chiesta come sia mai possibile morire così, per mano di coloro che (stando a quanto ci dicono) dovrebbero tutelare la nostra sicurezza e la nostra salute. Si è, magari per un solo momento, usciti dall’indifferenza e ci si è domandati cosa diamine stia succedendo e come si possa essere arrivati a tanta barbarie.
La domanda è giusta e legittima. Qui noi vogliamo provare a fornire un inizio (solo un inizio) di risposta concentrandoci su uno (solo su uno) dei fattori che stanno contribuendo a rendere possibili simili tragedie. Chiediamo al lettore di aver pazienza e di seguirci ancora per qualche riga.
Da anni la stampa, la televisione e chi ci governa sostengono che una delle cause fondamentali del degrado e dell’insicurezza che si vive nei quartieri è la presenza degli immigrati. Si ruba? È colpa dell’immigrato. Mancano le strutture sanitarie? Gli asili sono pochi? Non ci sono case popolari? Colpa dell’immigrato che se n’approfitta e impedisce all’italiano di usufruirne. Non c’è lavoro? Sempre colpa dell’immigrato che ce lo ruba. E quindi? Giù duri contro gli immigrati. Così contro di essi negli ultimi quindici anni sono state varate una serie di leggi che ne limitano fortemente i diritti più elementari facendone, di fatto, dei lavoratori e dei cittadini di serie “C”.
“Perla tra le perle” è stata la costituzione di appositi centri di detenzione in cui rinchiudere gli immigrati “colpevoli” di non avere il permesso di soggiorno. Questi “centri” ultimamente hanno cambiato nome: prima si chiamavano CPT (Centri di permanenza temporanea), adesso CIE (Centri di identificazione ed espulsione); la sostanza è restata la stessa, sebbene lo stesso cambio di nome denunci semmai un ulteriore inasprimento delle condizioni: immigrate e immigrati trattati come bestie, stuprati, pestati, umiliati, soggetti a violenze di ogni genere, in assenza di cure mediche (nei CIE si muore ma non lo si dice) e con piena e totale impunità per i responsabili. La politica della mano pesante contro gli immigrati è passata e sta passando nell’indifferenza (o, peggio, con l’appoggio) di una buona fetta di lavoratori. Spesso infatti si pensa che essa possa davvero rendere più sicure le “nostre” esistenze.
Il caso Cucchi dimostra che è vero il contrario. Aver accettato e permesso che agli immigrati venissero negati anche i più semplici diritti non ha per nulla migliorato la situazione nei quartieri popolari. Anzi. La violenza impunita degli apparati dello stato, che fino ad ora poteva sembrare essere riservata agli immigrati, inizia a colpire anche i lavoratori italiani e le loro famiglie, perché ogni diritto negato a un lavoratore, italiano o immigrato che sia, è un diritto negato all'insieme dei lavoratori.
Noi che scriviamo questo giornale siamo dichiaratamente per la piena e totale parità dei diritti tra italiani e immigrati e pensiamo che le politiche e le leggi razziste e discriminatorie servano a scatenare una “guerra tra poveri” che avvantaggia solo chi vive beato nelle terrazze dei Parioli o nelle ville dell’Appia, sfruttando tanto il lavoro degli italiani quanto quello degli immigrati.
Invitiamo il lettore a riflettere su come non sia possibile mantenere i propri diritti se questi vengono negati a chi ci sta accanto.
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L'IMMIGRAZIONE AL FEMMINILE




Le donne immigrate costituiscono poco più del 50% della manodopera in quasi tutti i paesi di destinazione dell’emigrazione. In Italia la maggior parte di loro viene dai paesi dell’Europa dell'Est, seguiti da quelli asiatici, africani e latinoamericani. Sono donne che, nella maggior parte dei casi, sono professioniste o con un'educazione superiore acquisita nei loro paesi d’origine, e che sono costrette a lavorare come badanti, domestiche, babysitter o in altre categorie lavorative (commesse o lavoratrici nelle cooperative di servizi). Nella maggior parte dei casi queste donne sono arrivate nei paesi avanzati per il tramite della chiesa (cattolica e protestante), attratte da stipendi che potrebbero risolvere i difficili problemi economici delle loro famiglie nei paesi d’origine.

A causa della acuta crisi economica, le necessità della società italiana sono molto cambiate in questi anni. Adesso non basta più uno stipendio per mandare avanti una famiglia ed è necessario che si lavori almeno in due; ed è proprio qui che la manodopera delle immigrate diventa indispensabile e pertanto molto flessibile, sottopagata e ricattabile. Ricordiamo che, tempo fa, erano le donne emigrate dal Sud d’Italia a fare tutti questi lavori, ma poco a poco sono state sostituite dalle donne immigrate, costrette a lasciare i propri paesi dove la mancanza di lavoro, la miseria e le guerre scatenate dai paesi imperialisti la fanno da padrone.

L’ultima sanatoria berlusconiana, fatta anche per le continue pressioni della chiesa cattolica e delle lotte degli immigrati, prevedeva la regolarizzazione di almeno 700.000 persone ed era valida solo per badanti, domestiche e babysitter. Sebbene secondo i dati della Caritas circa un milione di persone svolgono questi lavori, la sanatoria si è rivelata un fallimento poiché dagli ultimi dati diffusi dal Governo solo 280.000 persone hanno fatto richiesta di regolarizzazione; il resto è rimasto fuori a causa della richiesta di requisiti proibitivi per la maggior parte delle famiglie italiane, come ad esempio il reddito minimo annuo. Ma causa determinante del suo fallimento è che questa sanatoria discrimina tutti i lavoratori immigrati appartenenti ad altre categorie.

Le donne immigrate che non hanno potuto accedere a questa sanatoria hanno visto svanire le loro aspettative e, di conseguenza, il sogno di poter svolgere una vita normale, magari potendo tornare ai loro paesi d'origine o inviare denaro ai loro familiari tramite agenzie, affittare una casa o un posto letto, accedere al servizio sanitario nazionale, iscrivere i loro figli a scuola; insomma, vivere una vita normale e dignitosa come il resto delle lavoratrici.
Da anni gli immigrati sono diventati una parte fondamentale della macchina produttiva dello stato, mano d'opera a basso costo in gran parte specializzata, facile da spremere, come quella dell'Europa dell'Est, occupata nell'edilizia, nei cantieri e, per le donne, nel campo dell'assistenza e negli altri servizi; lavoratori quasi sempre in nero, costretti a lavorare più di dodici ore al giorno senza nessun diritto.

La situazione legale degli immigrati che vivono e lavorano in questo paese è resa ancor più difficile dalle misure adottate nel Pacchetto Sicurezza, che non fanno altro che terrorizzare e ricattare: molte donne immigrate che lavorano come badanti o domestiche sono costrette ad accettare qualsiasi condizione di lavoro in cambio di una certa sicurezza offerta dall’essere nascoste all'interno di una casa, costrette a lavorare anche più di 59 ore settimanali invece delle 39 ore contrattuali. Donne che molte volte sono vittime di abusi, che non possono denunciare poiché l’unico rifugio che hanno è la casa dei loro padroni. È per queste ragioni che si comprende come molte donne si rendono invisibili e non partecipano a nessuna attività sociale o politica, e quelle che non lavorano a contratto si vedono scaricare tutto il lavoro domestico e la cura dei loro figli sulle proprie spalle. La paura di essere denunciate o rimpatriate impedisce loro di partecipare alla lotta e all’organizzazione che da molti anni gli immigrati portano avanti per acquisire diritti, per vivere con dignità e come lavoratori onesti. Questi rappresentano più del 99% del totale dei lavoratori immigrati che lottano per dare ai propri figli un futuro migliore, figli che nella maggior parte dei casi sono nati in Italia o che sono vissuti in Italia fin da piccolissimi, frequentando scuole italiane; figli che, di conseguenza, si sentono italiani ma non godono di nessun diritto.

L’unica strada che resta alle donne lavoratrici e alle mamme è uscire da quest’anonimato e cominciare a organizzarsi. La loro partecipazione è indispensabile poiché l’unità è l’unico modo per fermare quest’attacco sistematico e programmato da parte di tutti i governi di turno, ora dal governo Berlusconi che ha peggiorato le nostre condizioni di vita con il Pacchetto sicurezza.

Bisogna fermare questo clima razzista e d’intolleranza, che ha come scopo quello di dividere i lavoratori italiani da quelli immigrati, impedendo così che si uniscano per lottare contro i licenziamenti, la disoccupazione, la precarietà, di lottare contro il ricatto permanente verso i lavoratori immigranti usandoli come arma contro i lavoratori italiani. Solo l’unità, l’organizzazione e la lotta unitaria con i lavoratori italiani potrà garantire una vita dignitosa.

È necessario approfondire la condizione delle donne immigrate, il problema dei figli, il loro ruolo nella famiglia, nella società e nel mondo del lavoro. Questo ci proponiamo sui prossimi numeri del giornale.
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Uno degli elementi che distinguono l’attività del Comitato Lavoratori Immigrati e Italiani Uniti è la creazione di collegamenti con i collettivi che operano nei territori. In questo senso, nelle ultime settimane, ci siamo confrontati molto con una storica realtà della sinistra di classe romana: il Centro di Cultura Popolare Tufello. Con loro e con altre espressioni della sinistra del IV Municipio abbiamo organizzato una iniziativa per il giorno 7 febbraio.
E’ in virtù di questa collaborazione, che speriamo sia di lunga durata, che siamo lieti di ospitare su questo giornale il contributo dei compagni del Tufello, una di quelle pagine di storia dal basso di cui doveroso non perdere la memoria.




UN P0’
DI STORIA DEL
CENTRO DI CULTURA
POPOLARE TUFELLO



L’Associazione Centro di Cultura Popolare Tufello nasce nel 1975 dopo lo scioglimento del Collettivo Comunista Valmelaina Tufello. Ha sede in via Capraia 81, nel territorio del IV Municipio di Roma. Svolge attività culturali, sociali e di politica partecipativa.

L’impegno socioculturale del CCP è di offrire la possibilità a gruppi e persone singole di esprimere le proprie potenzialità e capacità espressive, nella convinzione che attraverso una pratica concreta e quotidiana si possa trovare la via per legittimarsi come protagonisti della propria esistenza e storia.
Tre direttrici, funzionali tra loro, hanno indirizzato e caratterizzato il lavoro: la produzione culturale, la proposta di prodotti culturali, la promozione dell’impegno politico e socioculturale.

Lo spazio è occupato, la gestione economica è basata sull’autofinanziamento da parte dei componenti dell’Associazione e sul contributo dei partecipanti alle iniziative proposte. Le risorse economiche di finanziamento pubblico sono state legate negli anni a progetti tanto culturali quanto di lotta all’emarginazione o di prevenzione delle tossicodipendenze.

In quest’ottica si sono sviluppate, nel corso degli anni, le nostre attività, dal teatro al cinema, alla musica ecc. e ancora oggi continuiamo il nostro percorso sempre alla ricerca di nuovi compagni di strada con cui condividere e scambiare sogni ed esperienze.

Abbiamo fatto tanti incontri e ultimamente, dopo la manifestazione antirazzista del 17 ottobre scorso, al fine di non disperdere le energie positive, formammo una sorta di gruppo del IV Municipio con la finalità di costruire un qualcosa di solido tra le varie realtà native ed immigrate, ma che vorremmo definire cittadine: “un crocevia di suggestioni variegate e complesse che coinvolgono l’identità politico-giuridica del soggetto, le modalità della sua partecipazione politica, l’intero corredo dei suoi diritti e dei suoi doveri”
(P.Costa-“Cittadinanza”)
Per moltissimi anni il concetto di cittadinanza è stato connesso esclusivamente al concetto di nazione ( è interessante notare che che il termine nazione discende dal termine nato, ovvero quelli nati in un luogo formano una nazione) ed è all’interno di quella nazione che il cittadino gode di diritti ed espleta i doveri.
Oggi questa esclusività è caduta a seguito di varie dinamiche parzialmente combinate tra di loro.Ad esempio l’interdipendenza tra le nazioni per via delle relazioni economiche ecc.
In forza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) ogni essere umano , in ogni angolo del globo deve vedersi riconosciuti i diritti primari (vita, libertà, sicurezza) le garanzie fondamentali (difesa in processo, bando alle discriminazioni di qualsiasi tipo, alla tortura ed altri trattamenti lesivi della dignità umana) le libertà private (pensiero, coscienza, religione, riservatezza familiare, ecc) le libertà pubbliche ( espressione, riunione, associazione, circolazione), i diritti economici ( lavoro e relative condizioni) i diritti sociali (sicurezza, alloggio, assistenza pubblica) i diritti culturali (istruzione cultura insegnamento).
Il grande squilibrio che esiste tra diverse aree del pianeta, in termine di benessere e rispetto dei diritti, hanno spinto, spingono e spingeranno milioni di persone ad abbandonare il paese d’origine per costruirsi un futuro diverso altrove.
Guarda caso questo “altrove” si trova esattamente in Europa e in Nord America , cioè nelle patrie dei diritti e del diritto , in altre parole è il fenomeno delle grandi migrazioni di massa che interroga il binomio diritti-cittadinanza.
Da qualunque ottica lo si guardi il tema è proprio l’universalità dei diritti e dei doveri a comportare che la cittadinanza di ogni persona non sia più relegata al luogo dove è nata, ma abbia un’altra portata, in sostanza ciascuno di noi è cittadino ovunque si trovi.
L’incontro con i lavoratori, da qualunque parte provengano, è per noi fondamentale al fine della reciproca crescita e siamo quindi felici di collaborare con il Comitato dei lavoratori immigrati e italiani sulle iniziative politico culturali che insieme riusciremo a mettere in piedi,sulla strada del comune sentire

“i poveri, i poveri, i poveri, schiacciati dalla mano del commercio, incalzati in un angolo, premono contro una porta che si apre all’interno e che quella stessa pressione sbarra sempre di più….e sospirano, un mostruoso sospiro fatto d’aria viziata anelando la libertà senza confini all’esterno dove l’arte , come dolce allodola, trasforma il cielo in celeste melodia”. (Sidney Lanier)
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PRIMO MARZO “UN GIORNO SENZA DI NOI”

Un giorno per riflettere il valore dei lavoratori immigrati.
Un giorno per tornare la dignità alle persona normali qualificate di delinquenti.

Lunedì 1 Marzo. Piazza Repubblica 14h00
Piazza Vittorio Emanuele 17h00

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Inchiesta sull’immigrazione




L’inchiesta operaia e proletaria non è certamente un’idea originale del Comitato Lavoratori Immigrati e Italiani Uniti, ma è uno strumento politico per l’agitazione e propaganda che è parte integrante della storia del movimento rivoluzionario, a cominciare dalle 100 domande meglio conosciute come “l’inchiesta operaia” scritta da Karl Marx nel lontano 1880 o la significativa esperienza dei Quaderni Rossi negli anni ’60.
Partendo da questa dovuta quanto parziale premessa, i compagni e le compagne del Comitato Lavoratori Immigrati e Italiani Uniti hanno riflettuto sull’opportunità di utilizzare questo strumento
– che sarà tradotto in più lingue – per approfondire la conoscenza del frammentario tessuto immigrato e, nel contempo, propagandare l’attività e le proposte del Comitato.
Andando di più nello specifico, il nostro intento non è quello di redigere una statistica né fare un sondaggio d’opinione “di massa”, ma più semplicemente andare nei territori proletari della nostra metropoli per cercare di intercettare il maggior numero possibile di lavoratori immigrati, per tentare di avviare, attraverso il dialogo che un questionario automaticamente dovrebbe produrre, una riflessione sulle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati anche con riferimento alle discriminazioni e alle aggressioni che quotidianamente subiscono.
L’articolazione pratica del lavoro è semplicissima: individuare luoghi di
concentrazione operaia e proletaria (ad esempio mercati, fermate del bus, piazze di ritrovo, uffici pubblici ecc., dando priorità a quei quartieri dove si sono verificati episodi di aggressioni razziste), portare un banchetto, distribuire un volantino di presentazione, megafonare, cercare di convincere i proletari immigrati a dedicare cinque minuti della loro vita per riempire un semplice questionario.
Insomma, il questionario vuole portare gli immigrati, come parte importante del proletariato urbano, a prendere coscienza della loro condizione e, in ultima istanza, può contribuire a diffondere il virus dell’azione diretta e autonoma di classe per il soddisfacimento dei propri bisogni attualmente negati.
Da qui l’augurio che altri oltre al CLIIU vogliano fare proprio questo tipo di iniziativa: con noi e/o indipendentemente da noi.
Come compagni e compagne del CLIIU, stiamo per iniziare questa “nuova esperienza” consapevoli della fatica da fare, della costanza che ci vuole, dei “… ma vaffa…” che ci prenderemo, ma con la speranza che qualche lavoratore/trice voglia unirsi all’agire politico del CLIIU e la consapevolezza, data da precedenti e ben più illustri inchieste del movimento operaio, che questa iniziativa, se fatta con serietà, potrà dare i frutti sperati.

I risultati di questo lavoro, che dovrebbe vederci impegnati per diversi mesi, saranno pubblicati su questo giornale.


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Questionario



1_ Di dove sei? F/M
2_ In quale zona di Roma abiti?
3_ Quanti anni hai Da quanto tempo stai in Italia?
4_ Che lavoro fai? operaio autonomo colf/badante
industriale individuale ad ore
edile ??operai fisso
servizi
agricoltura
5_ Lavori in regola? si/no determinato indeterminato
6_ Quanto guadagni al mese? fino 1000€ fino 1500€ oltre 1500 €
7_ Quanto spedisce al tuo paese? meno 50% più 50 %
8_ Quanto è l'affitto di casa propria mutuo
9_ Con chi condividi la tua casa? famigliari amici ???bambini
???adulti

10_ Percepisci un clima di ostilità nei confronti degli immigrati? no
11_ Sei stato vittima di episodi di razzismo? si no
12_ Pensi che c'è razzismo nel Comune, Asl ed ospedali si no
13_ Pensi che c'è razzismo nei commissariati e questura si no
14_ Pensi che c'è razzismo nelle scuole e nell'università si no
15_ Pensi che c'è razzismo negli autobus, metro e treni si no
16_ Pensi che c'è razzismo nei condomini e quartieri si no
17_ Pensi che c'è razzismo nelle banche, finanziare e negozi si no
18_ Se si: Dove nasce questo razzismo?
a. Delle campagne alla televisione, radio e giornali? si no
b. Dal Governo e delle istituzioni dello stato? si no
c. Dai Partiti Politici e la classe nel potere si no
d. Dalla mentalità tipica italiana si no

19_ Sei al corrente dell'aggressioni nei confronto degli immigrati | si no

20_ Come pensi si possa fermare?
a. Denunciandoli sempre all'autorità ? si no
b. Cercando il dialogo con gli aggressori? si no
c. Organizzando l'autodifesa della sicurezza? si no

21_ Sai che c'è la lotta degli immigrati contro il razzismo si no


22_ Sei iscritto a qualche tipo d'organizzazione si no
Associazione del tuo paese
Sindacato
Partito Politico
Gruppo religioso
Altro

23_ Quale unita è più importante per fermare il razzismo?
di tutte le comunità degli immigrati
dei lavoratori immigrati e italiani
dei lavoratori immigrati, italiani ed studenti

24_ Sai quali sono tuoi diritti, le leggi Razziste e Antirazziste si no

25_ Saresti interessata/o a partecipare a Conferenze, Assemblee, Seminari contro il Razzismo.
si no
26_ Vuoi lasciare qualche recapito telefonico o e-mail per ricevere i risultati della inchiesta.
........................................................................ @ .......................................................
Tlfn:.................................................................
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Nel prossimo numero: Biografia di Sher Khan.
Bollettino 01 Anno 01
Stampato in proprio in via Bixio 12, Roma.
Presso la Ass. Dhuumcatu.
Comitato Immigrati in Italia (Roma)
Telf:0644361830 Fax 0644703448

Come contattare il Comitato Lavoratori Immigrati Italiani Uniti
comlavuni@gmail.com
www.cluii.blogspot.com

Lettori fissi