venerdì 30 ottobre 2009

Bolletino-00



Bollettino a cura
COMITATO
DEI LAVORATORI
IMMIGRATI E ITALIANI UNITI

In questo numero:
• Documento di presentazione del Comitato
• C’è razzismo tra i lavoratori italiani? E se sì, come mai?
• È giusto costruire unità tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani?
• Il salario
• Come contattarci
• Note sul razzismo
• Il proletariato internazionale
• 17 e 23 ottobre: per l'unità dei lavoratori italiani e immigrati
• Appello ai lavoratori italiani e immigrati

stampato in proprio in via Bixio 32, Roma
numero zero, anno 1, ottobre 2009






Documento di presentazione del Comitato


Un’acuta crisi economica colpisce il capitalismo con effetti devastanti sulla maggioranza delle popolazioni sia del Primo e Secondo Mondo sia del cosiddetto Terzo Mondo. Nell’Occidente i diritti della maggior parte della popolazione sono calpestati da ogni governo (sia di centro-sinistra sia di centro-destra) e il “benessere” dei vecchi tempi è sempre più un ricordo lontano. Le leggi e i provvedimenti presi dai governi capitalistici sono a difesa della classe al potere e le conseguenze della crisi sono scaricate senza problemi sulle spalle dei lavoratori, bianchi o neri che siano.
I partiti politici che hanno governato (Centro-sinistra o Centro-destra) sono stati tutti d’accordo nel creare le condizioni per il supersfruttamento dei lavoratori immigrati. I lavoratori immigrati qui sono aumentati perché il sistema internazionale del capitalismo, con a capo le principali potenze imperialiste, ha sparso guerre di aggressioni ovunque, ha creato condizioni sempre più drammatiche nei Paesi dipendenti alle logiche criminali dell’economia cosiddetta globalizzata. L’immigrazione risponde alla volontà di avere manodopera a buon mercato da usare in concorrenza con quella dei residenti. I vari governi che in Italia hanno varato leggi repressive (Legge Turco-Napolitano e Legge Bossi-Fini) sono responsabili dell’uso di questa forza lavorativa come ricatto permanente verso i lavoratori italiani.
Si sono orchestrate (con il consenso della carta stampata e della televisione) campagne di criminalizzazione delle comunità di immigrati più presenti in Italia. Marocchini = delinquenti, Polacchi = delinquenti, Albanesi = delinquenti, Rumeni = delinquenti… insomma Immigrato = delinquente. La campagna “Sicurezza” è stata in modo infame utilizzata (dal sindaco di Roma Veltroni ai sindaci leghisti passando per quelli berlusconiani) per arrivare al tristemente famoso “Pacchetto Sicurezza”. Questa legge crea non sicurezza ma insicurezza, e un clima xenofobo e razzista verso tutti gli immigrati in modo che questi siano sempre più ricattabili dai padroni e quindi più utili al fine dello sfruttamento del lavoro. E così il sistema può beneficiare dell’immigrazione per far girare la sua macchina produttiva «nell’edilizia, nel settore alberghiero, nella ristorazione, nel lavoro di cura verso i bambini e gli anziani e nelle case, nell’agricoltura e nelle fabbriche del Nord» (come scriveva tempo fa un volantino del Comitato Immigrati in Italia). Ma perché quando si parla di sicurezza si parla degli immigrati considerati come dei delinquenti e non del peggioramento complessivo delle condizioni di vita? E non del potere d’acquisto del salario che cala a vista d’occhio, della flessibilità e della precarietà del lavoro, della disoccupazione, della mancanza di alloggi popolari e di canoni di locazione elevati, della sanità e dell’istruzione che vanno a rotoli, della sicurezza nei cantieri e nelle fabbriche, dell’aumento dei carichi di lavoro, dei continui infortuni col suo seguito di morti e invalidità permanenti? Della vera delinquenza sempre più espressione del potere economico?
A Roma non basta un salario per pagare l’affitto, il numero degli sfrattati è in aumento, le nuove coppie faticano a trovare un tetto, le occupazioni di case si allargano, chi ha contratto un mutuo vive nell’incubo di non poter pagare le rate. I prezzi dei generi di prima necessità (pasta, pane, pesce, carne, frutta, verdura…) aumentano continuamente, per non parlare dei prezzi dei servizi. Il cinema, il teatro… lo spettacolo si guarda solo alla tivvù. Le vacanze? Se si fanno… a rate.
Questa realtà non è stata creata dai lavoratori immigrati. Il sistema utilizza gli immigrati come valvola di sfogo della rabbia degli italiani che subiscono il peggioramento della vita. Ma questa rabbia andrebbe scaricata contro la vera causa del peggioramento: un sistema che privilegia l’accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi a svantaggio della maggioranza e che fa passare la falsa idea che il benessere del lavoratore sia quello della propria azienda. Il lavoratore italiano deve capire che non può e non deve considerare suo concorrente il lavoratore immigrato, perché facendo così non fa altro che accettare la guerra fra poveri che tanto avvantaggia questo sistema di oppressione e sfruttamento. Inoltre, il lavoratore italiano accettando questa condizione di divisione, peggiora la propria vita e si nega qualsiasi prospettiva di profonda trasformazione sociale, a tutto vantaggio della anti-umana logica del profitto.
Nei quartieri popolari, nei luoghi di lavoro e di studio, dove c’è la disoccupazione, deve arrivare una speranza e una luce di lotta, che la faccia finita con questa guerra fra chi si trova nella stessa barca. I lavoratori italiani devono imparare a considerare i lavoratori immigrati come l’occasione per aumentare la propria forza contrattuale da usare nelle lotte sociali per riconquistare tutti i diritti persi e guadagnarne di nuovi. Ma anche gli immigrati devono imparare a superare le divisioni fra le comunità e fra immigrati “regolari” e “irregolari”.
Per questa ragione, ed altre ancora, un gruppo di immigrati (del già esistente e tuttora operante comitato immigrati) e di italiani ha deciso di lavorare insieme. Per essere strumento di UNITÁ fra gli immigrati stessi e fra i lavoratori italiani e immigrati, fra tutti gli sfruttati contro la crisi che il capitalismo vuol far pagare ai lavoratori.. Lottare insieme per una NUOVA VITA, una vita dignitosa, dove si riesca a soddisfare i bisogni di casa, lavoro, istruzione… e serenità. Questa è la vera sicurezza che ci dobbiamo conquistare! Una sicurezza che è alla base di vincoli di solidarietà sociale e di classe, l’unica che crea certezze di futuro per la collettività, oltre che per sé e per i propri figli.
E ricordiamoci che i popoli non amano emigrare, desiderano vivere in pace e bene nella propria terra, non da schiavi ma da donne e uomini liberi.

COMITATO LAVORATORI ITALIANI E IMMIGRATI UNITI










C’è razzismo tra i lavoratori italiani? E se si, come mai?


Tutti parlano del razzismo e tutti si dicono antirazzisti.
Si dichiarano antirazzisti i giornalisti, che ci inondano di inchieste sulle periferie cittadine; i sociologi, gli artisti e gli intellettuali che non perdono occasione per spiegare che “gli uomini sono tutti fratelli”; i sindaci, i presidenti delle giunte regionali e, finanche, i ministri della repubblica; [] e persino i presidenti delle società di calcio che prima di ogni partita invitano tramite gli altoparlanti ad evitare cori e ululati contro i giocatori con un altro colore della pelle. Infine, come si sa, anche i grandi industriali e i grandi banchieri si dichiarano contro ogni forma di intolleranza.
Tutti questi signori, questi abitanti dei quartieri alti della società, si dicono d’accordo. Il razzismo, a sentir loro, è frutto dell’ignoranza e della mancanza di cultura di chi vive nelle periferie, di chi dalla mattina alla sera si sbatte in cerca di un lavoro, di chi non riesce ad arrivare a fine mese, di chi è costretto a vivere in quartieri dove manca tutto. Insomma (ma guarda un po’) è colpa degli abitanti delle zone basse della società. Ed ecco, a sostegno di questa tesi, tutta una serie di indignate inchieste giornalistiche e televisive che spiegano come e quanto ai Parioli abiti gente “per bene e tollerante”, mentre Tor Bella Monaca sia popolata da inguaribili razzisti.
Il troppo è troppo. Fermiamoci un attimo perché le cose non stanno proprio così, anzi!
Cominciamo col dire che l’indignazione dei signori di cui sopra è il massimo dell’ipocrisia visto che i primi e i veri responsabili della diffusione dell’odio razzista sono loro stessi. Questo è infatti un ottimo strumento per scatenare una guerra tra poveri a tutto ed esclusivo vantaggio proprio di chi vive “ai Parioli”.
Per noi che stampiamo queste pagine il razzismo è un morbo che va estirpato perché indebolisce tutti gli operai, tutti i precari, tutti i disoccupati (“bianchi” o “neri” che essi siano). Qui non neghiamo che, purtroppo, sentimenti e pratiche razziste si stiano pericolosamente diffondendo tra i lavoratori e tra i giovani delle periferie. Vogliamo però capire su quali basi tutto ciò sta accadendo.
Sicuramente la propaganda che da tempo i vari governi e i mezzi di comunicazione portano avanti ha una sua importanza. Da anni infatti gli immigrati sono falsamente dipinti come la causa di buona parte dei mali che affliggono la nostra società.
La propaganda ha un peso, ma da sola non basterebbe. Se il (suicida) veleno razzista sta penetrando nelle vene dei proletari italiani ciò è in massima parte dovuto a un fatto materiale. Un fatto su cui poi la propaganda si appoggia. Il lavoro è sempre più precario per tutti, le case sono sempre più care, i servizi sociali (a cominciare dalla sanità pubblica) peggiorano quotidianamente. E, proprio in questa situazione gli immigrati sono stati usati (senza alcuna loro colpa) dai padroni grandi e piccoli come strumento di concorrenza al ribasso. Gli imprenditori hanno iniziato a ricattare i proletari italiani dicendo loro: o vi accontentate di meno salario e di meno diritti o prendiamo uno “straniero” al posto vostro. Questo, secondo noi, è uno degli elementi determinati per il quale i lavoratori e i giovani italiani hanno iniziato a prestar fede alla bugiarda propaganda razzista che proviene dalle alte sfere della società. Una propaganda che vuole deviare la giusta rabbia dei lavoratori contro un falso bersaglio proprio per evitare che essa si rivolga contro i veri responsabili (cioè le “alte sfere”) della precarietà, dei tagli alla spesa sociale e del peggioramento delle nostre esistenze.
In un altro articoletto, più avanti, diciamo come, a nostro avviso, l’infezione razzista va combattuta. Qui volevamo solo sottolineare l’ipocrisia dell’antirazzismo “per bene” ed evidenziare come alla base della diffusione del fastidio e dell’odio contro gli immigrati vi siano non principalmente dei fattori culturali, ma soprattutto delle questioni materiali con cui fare i conti.
Bruno Sud


























È giusto costruire unità tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani?


L’unità tra tutti i lavoratori è senz’altro una cosa giusta da perseguire. Ma perché? In questo breve articolo si cercherà di argomentare questo punto: i lavoratori italiani per migliorare le proprie condizioni di vita hanno interesse a respingere l’idea – sbagliata – di considerare i lavoratori immigrati propri concorenti. Non sarà qui trattato l’argomento (importante) dell’ideologia razzista e xenofoba alimentata da tante forze politiche come quella leghista, ma non solo), che istigano i ceti popolari che soffrono le conseguenze della crisi capitalistica contro gli immigrati. Questa crisi è tipica di questo sistema (il capitalismo), che periodicamente si trova a fare i conti con le enormi contraddizioni che esso produce e che i capitalisti e i loro governi vogliono scaricare sulle spalle dei proletari.
Potere d’acquisto del salario che cala a vista d’occhio, flessibilità e precarietà dilaganti, mancanza di edilizia popolare e canoni di locazione pari quasi a uno stipendio, sanità ed istruzione sempre più care e degradate, sicurezza nei cantieri e nelle fabbriche quasi inesistente, per non parlare della piaga della disoccupazione giovanile che sta spingendo nuovamente molti giovani del nostro sud ad emigrare come i loro padri e nonni: sono queste le cause profonde delle incertezze e delle paure. È in questo clima che il sistema diffonde l’ideologia dell’emergenza e del sospetto verso gli immigrati.
I soggetti che non hanno nessun interesse a difendere questo infame sistema sono portati a mettersi in concorrenza, guai se si mettono in testa di considerarsi tutti dalla stessa parte! Il capitalismo tende ad isolarci in modo che ognuno viva la sua vita come una grande sfida contro tutti; per questo i padroni giocano la carta della disunione, lo fanno per assicurarsi le migliori condizioni dello sfruttamento e della sottomissione alla logica (antiumana) del profitto. Per garantirsi la propria pace sociale i padroni hanno sempre istigato la guerra fra i poveri: tra lavoratori e disoccupati, tra uomini e donne, tra giovani e anziani, tra settentrionali e meridionali… ed ora tra italiani e immigrati.
In modo ignobile si gioca sulle incertezze e sulle paure alimentate dalla crisi del sistema per far passare il discorso della pericolosità sociale degli immigrati che diventano così pura questione di ordine pubblico. Gli ipocriti e demagogici attizzatori di odio contro gli immigrati lo sanno bene che così non stanno le cose ma non possono mica affermare che è proprio il capitalismo a generare la cosiddetta “percezione” dell’insicurezza e della paura! Diciamolo: su questo fronte hanno giocato sporco sia i governi di centrosinistra che i governi di centrodestra, entrambi impegnati a scatenare i peggiori sentimenti di ostilità nei confronti degli immigrati facendo passare questi come lazzaroni. A quante campagne abbiamo assistito nelle quali di volta in volta era l’albanese, il marocchino, il rumeno, l’islamico eccetera il nemico da combattere? Le leggi in materia parlano chiaro, non c’è discontinuità tra i vari governi degli ultimi anni, però oggi assistiamo ad un inasprimento della situazione ed il “pacchetto sicurezza” arriva addirittura a dichiarare clandestini tutti gli immigrati non regolari che non siano né badanti né colf.
Rimane però la domanda “perché è fondamentale l’unità tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati?”.
Il capitalismo, come abbiamo già detto, mette tutti in concorrenza, e questa concorrenza alimenta i peggiori “spiriti animali”. I lavoratori sono fomentati a combattersi fra di loro a tutti i livelli, ma tutto ciò non fa che aumentare la libertà di chi vive dello sfruttamento del lavoro altrui. Per questo motivo il movimento dei lavoratori organizzato ha sempre considerato fondamentale il tema dell’unità e per questo motivo ha sempre contrastato le divisioni interne al proprio fronte: quelle tra occupati e disoccupati, tra uomini e donne, tra meridionali e settentrionali eccetera. È un fatto storico: solo quando i lavoratori hanno stretto robusti legami di unità fra di loro hanno potuto migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Un esempio per tutti, oggi di forte attualità: la grande lotta degli anni sessanta contro le gabbie salariali, che mettevano i lavoratori di diverse aree geografiche in condizioni di differente trattamento salariale a parità di prestazione. Una lotta che raggiunse l’obiettivo e che rafforzò tutto il fronte dei lavoratori, da Palermo a Torino.
I lavoratori per affermare la propria dignità e per liberarsi dallo sfruttamento non possono che sentirsi come le dita della stessa mano che si chiudono a pugno per dare forza e vigore alla propria azione.
Oggi in Italia (che nel passato ha conosciuto la piaga dell’emigrazione) ci sono milioni di immigrati provenienti da quei Paesi che proprio le potenze dominanti hanno gettato nella povertà. Il capitalismo li utilizza perché gli fanno comodo: con gli immigrati ha potuto abbassare i costi di produzione, ha potuto esercitare una funzione di ricatto nei confronti dei lavoratori italiani, ha potuto ridurre l’impegno nel campo dei servizi socio-sanitari (si solo pensi al ruolo svolto dalle badanti). Ma nello stesso tempo, ipocritamente, ha fatto passare nella società l’idea che gli immigrati fossero la causa del malessere. Insomma, il sistema utilizza gli immigrati perché fanno “girare l’economia” ma nello stesso tempo fa in modo che su di loro si scarichi la giusta rabbia dei lavoratori italiani colpiti dalla crisi. Una giusta rabbia che invece dobbiamo rivoltare contro i veri responsabili di questa situazione, cioè tutti coloro che difendono questo aberrante sistema (padroni, politici istituzionali, economisti, giornalisti, intellettuali e attori di corte). Molti lavoratori pensano: va bene, ma se gli immigrati non ci fossero per noi sarebbe meglio, non subiremmo nessun ricatto e potremmo lavorare tutti e meglio pagati. Ma se tanti immigrati arrivano è perché da una parte fanno comodo al sistema dall’altra perché nei propri paesi le condizioni di vita sono spesso intollerabili. L’emigrazione non ci sarebbe se i paesi imperialisti non facessero deserto dove intervengono (Africa, America latina, Asia). Ci ricordiamo dei nostri emigranti che andavano all’estero? Andavano in Svizzera, in Germania, in Belgio, in Australia, in America: ci andavano perché questi paesi avevano bisogno di forza-lavoro a buon mercato ma questo non sarebbe accaduto se avessero avuto delle prospettive in Italia.
L’emigrazione, infatti, non ci sarebbe se ognuno avesse la possibilità di vivere decentemente e dignitosamente nel proprio paese. Nessuna emigra per il piacere di farlo o per “disturbare” altri popoli. L’emigrazione c’è perché è il capitalismo (con le sue politiche economiche e con le guerre scatenate per l’accaparramento dei mercati) responsabile di tutto ciò. Peruviani, Nigeriani, Rumeni, Albanesi, Bengalesi, Marocchini… non lascerebbero i propri paesi se lì fossero garantite condizioni di vita dignitose.
I lavoratori immigrati ci sono per questi motivi, prendiamone atto, la cosa migliore è comprendere che l’allargamento dei diritti per loro significa la difesa dei diritti anche per noi. Se non si stringono rapporti di unità con i lavoratori immigrati non è possibile pensare di riconquistare i vecchi diritti (perduti) e di conquistare i nuovi che la cosiddetta modernità produce. Accettare la contrapposizione che ci vogliono imporre significa essere entrambi sconfitti, gli unici a far festa sarebbero lor signori. Stabiliamo allora legami di solidarietà con i lavoratori immigrati, organizziamoci e lottiamo insieme perché questa è la strada maestra per difenderci e poi conquistare nuove posizioni. Nella manifestazione del Primo Maggio di quest’anno a Torino dei lavoratori immigrati portavano un cartello su cui era scritto “Stesso lavoro stesso salario”. Giusto!
Saraceno


















Il Salario


Per capire la situazione economica delle persone nella società attuale bisogna saper quantificare il salario e gli stipendi.
Il salario è la quantità di denaro che il padrone – o datore di lavoro – rilascia ai lavoratori mensilmente. Questa quantità di euro è il pagamento della vendita di forza lavoro acquisita dal capitalista per 8-10-12 ore per giornata lavorativa. In questa società l’imprenditore non riconosce tutto il lavoro svolto o il servizio prestato dall’operaio/impiegato durante la giornata.
I contratti nazionali o di settore non valutano mai il valore totale di ciò che è prodotto dal lavoro, essi garantiscono al massimo agli operai, e alle proprie famiglie, salari con i quali “tirare avanti”. Questi soldi esprimono un potere d’acquisto delle merci che il lavoratore e la sua famiglia riescono a comprare per soddisfare i propri bisogni.


POTERE
D’ACQUISTO
DEL SALARIO





Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), il salario in Italia è uno dei più bassi; infatti, considerando i 30 paesi più industrializzati siamo al 23° posto con un salario medio di 1.200 euro. Bisogna dire che 1.200 euro è una cifra che c’è solo nelle statistiche, da anni le famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese.
Da 10 anni i salari sono congelati, il potere d’acquisto è precipitato, visto che per ogni millesimo che sale l’inflazione riduce il potere d’acquisto dei salari.
Vediamo un piccolo semplice esempio: prima dell’introduzione dell’euro un caffè costava 600 lire ed il salario era di 1.200.000 lire; oggi un caffè costa settanta centesimi con un salario di ottocento euro.
ANNO 2001Salario 1.200.000 lire = 2.000 caffé.
ANNO 2009 Salario 800 euro = 1.142 caffè.
Il cambio dalla lire all’euro ha accelerato ed aumentato l’INFLAZIONE abbattendo i salari più rapidamente, cioè riducendone il potere d’acquisto.

Dal Rapporto 2008 della Caritas (fatto in collaborazione con la Fondazione Zancan) si apprende che gli italiani poveri arrivano a 7,5 milioni mentre altri 7,5 milioni sono in pericolo di povertà (con salari inferiori a 600 euro al mese): in tutto abbiamo 15 milioni d’italiani che hanno dovuto ridurre la quantità di beni e servizi acquistati.
Le cause della povertà sono facili da capire: i salari sempre più bassi ed i padroni sempre più ricchi.

Con questa crisi in Italia non è fallita nessuna banca, nessuna entità creditizia ha chiuso le porte. La grande industria automobilistica italiana fa concorrenza nel mondo, le case di moda fanno il “boom”, l’edilizia non si ferma. La crisi è solo per i lavoratori e le piccole imprese orfane del grande capitale finanziario.
Il sindacalismo nacque come strumento d’unità dei lavoratori per la lotta salariale e per migliorare le condizioni di lavoro, ma qualcosa va storto, la maggior parte degli italiani non riesce ad andare avanti.
Concludiamo questo piccolo appunto sul “SALARIO” ricordando che gli immigrati non hanno nessuna responsabilità per questa situazione di disagio, anzi, grazie alla loro presenza, certi settori dell’economia italiana vanno avanti. È falso e sbagliato colpevolizzare questi operai stranieri per la mancanza dei diritti fondamentali: CASA, LAVORO, SALUTE ed ISTRUZIONE. Sono i padroni, e i loro governi, a falsificare le cose, il RAZZISMO e la paura del diverso sono fumo negli occhi per nascondere la verità ed allontanare gli immigrati dagli italiani. Il loro obiettivo è sempre stato dividerci perché solo così possono continuare a fare tranquillamente i propri interessi.
Gli immigrati sarebbero i primi a lottare per un giusto salario, a lottare contro le morti bianche. L’unità fra lavoratori immigrati ed italiani diventa perciò un imperativo per uscire dal vicolo.


Raffaello



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Note sul razzismo

La trasformazione demografica del nostro paese causata da una parte dal calo delle nascite e dall'altro da un’ondata di immigrazione che copre la richiesta di tutta una serie di lavori di cui in Italia vi è necessità pongono fatalmente sul tappeto problematiche di cui la classe politica, di destra come di sinistra, si è rivelata incapace non solo di risolverli, ma anche semplicemente di affrontarli.
Oggi i problemi legati all'immigrazione si pongono su due terreni: 1) quello dei diritti; 2) quello del razzismo.
Sui diritti la filosofia di questo governo è espressa rozzamente ma concretamente sul rifiuto totale di qualsiasi diritto non riconoscendo neppure i doveri minimi di ospitalità. Si può quindi accogliere ed utilizzare eventualmente il contributo del lavoratore non italiano (il lavoro, le tasse), ma senza alcun dovere di reciprocità da parte dello Stato. L’inesistenza del diritto alla cittadinanza per coloro che sono nati in Italia (jus in solis), le grandi difficoltà e gli ulteriori ostacoli per avere la cittadinanza (10 anni contro i 5 di quasi tutti i paesi europei) in seguito alle recenti normative del governo Berlusconi sulla concessione della cittadinanza per matrimonio la dicono tutta sulla condizione reale in cui si trovano gli immigrati nel nostro paese.
Lavorare certo, ma non godere di nessun diritto civile, politico e sindacale.
Da questa concezione dei diritti collegati alla cittadinanza nazionale, e non al riconoscimento della appartenenza comune, discende la politica dei respingimenti nel Mediterraneo che, oltre a violare le più elementari norme marittime (come quella di salvare i naufraghi) non tiene in alcun conto le condizioni da cui fuggono donne, uomini e bambini, condizioni che nella stragrande maggioranza dei casi sarebbero sufficienti da sole a garantire la concessione del diritto d'asilo. Ricordiamo che la stragrande maggioranza dei naufraghi proviene da paesi africani come la Somalia ed il Sudan, paesi che da decenni sono investiti da guerre.
L'introduzione in Italia del reato di clandestinità ha esposto migliaia di persone ai ricatti degli imprenditori, oltre che alla negazione di diritti fondamentali come le cure mediche, l'istruzione e persino lo status civile di “esistente in vita”.
Viene anche violato uno dei diritti civili più elementari: quello di poter manifestare liberamente il proprio credo religioso. Tutti gli ostacoli che gli aderenti alla religione islamica trovano nel nostro paese per l'apertura di moschee e le difficoltà di festeggiamento delle proprie ricorrenze – basti ricordare il boicottaggio che le istituzioni comunali hanno messo contro il capodanno Bangla e fine Ramadam a Roma e il divieto di praticare il culto in moschea a Milano – pongono sempre di più in prima linea l'obiettivo di lottare tutti per questi elementari diritti.
Tutto ciò in un contesto in cui i lavoratori immigrati subiscono quotidianamente discriminazioni e violenze xenofobe caratterizzate da stereotipi razzisti. L'attuale razzismo (ma il termine migliore sarebbe neo-razzismo) si caratterizza per un “razzismo senza razza” dove non si afferma più la superiorità dei bianchi sui neri (razzismo biologico) ma si afferma la superiorità della cultura occidentale sul resto del mondo.
Uerre






Il proletariato internazionale

Spesso si parla di globalizzazione e immigrazione come se fossero due processi distinti: invece sono un processo singolo e contraddittorio. La globalizzazione, in termini economici, é sia l’aumento di scambi commerciali internazionali sia lo spostamento di produzione nei paesi più poveri. La globalizzazione rende il capitale più libero e gli permette di muoversi oltre i propri confini.
Il capitale in sé non produce nulla. Per crescere il capitale ha bisogno di forza lavoro pagata meno del valore che produce: ovvero il lavoro sfruttato. La globalizzazione favorisce lo spostamento della produzione dai paesi più industrializzati a quelli in cui i salari sono ancora più bassi, aumentando in questi la dipendenza neo-coloniale, che si traduce in un crescita brutale dello sfruttamento di intere popolazioni, senza dar loro nessun beneficio. Inoltre, distrugge gran parte dell’economia dei paesi più deboli. Numerosi possono essere gli esempi: il caso del Messico e degli Stati Uniti é impressionante. Il NAFTA (trattato di libero scambio del nord America) ha favorito esclusivamente USA e Canada e ha lasciato i messicani più impoveriti. Questo non ha fatto altro che favorire l’emigrazione di milioni di lavoratori in cerca di migliori condizioni di vita. La risposta statunitense è un nazionalismo esasperato; un coro crescente di cittadini americani grida sempre più forte contro l’immigrazione messicana che sta “rovinando” l’economia americana.
È qui che la contraddizione diventa palese: il capitale è libero e non conosce frontiere, mentre la forza lavoro deve essere imprigionata nel proprio paese d’origine. E’ da questa contraddizione che viene fuori la condizione di clandestinità degli immigrati. L’immigrazione “clandestina” non è l’invasione di un popolo nel territorio di un altro, come spesso rappresentato dai giornali e dalla televisione. L’immigrazione, sia legale che “clandestina”, non fa altro che aumentare i profitti dei capitalisti. Il governo italiano, per esempio, crea la clandestinità per favorire gli imprenditori, in quanto si offre loro una forza lavoro senza diritti e salari ancora più bassi di quelli pagati ai lavoratori in regola. Nella fase di contrazione, invece, – come nella crisi attuale – si rendono gli immigranti non regolari sempre più ricattabili con la minaccia dell’espulsione.
Gli immigrati clandestini, dunque, sono lavoratori supersfruttati – pagati molto di meno –, senza nessun diritto. Ecco perché gli immigrati diventano i lavoratori e le lavoratrici più adatti, non solo nelle fabbriche, nelle imprese edili e industrie tessili, ma anche nelle abitazioni come colf e badanti.
L’immigrazione è l’altra faccia della globalizzazione del capitale. Questa contraddizione tra capitale libero e immigrazione incatenata lascia il capitale e i capitalisti liberi di girare il mondo e condanna tutti i lavoratori alla prigionia della povertà.
Proletari di tutti i paese unitevi!
Proletaires de tous les pays, unissez-vous!
¡Proletarios de todos los Países, uníos!
Workers of all lands, unite!
Carlo Rosso






17 e 23 ottobre: per l'unità dei lavoratori italiani e immigrati

Combattere il razzismo alla radice? Può farlo solo un forte e generalizzato movimento di lotta dei lavoratori di tutti i settori. Può diventare forte e generalizzato il movimento di lotta dei lavoratori? Solo se fa propria una lotta implacabile contro il razzismo e per uguali diritti per tutti, a cominciare dai lavoratori immigrati.
Di fronte alla crisi i lavoratori stanno cominciando ad alzare la testa. Si moltiplicano gli episodi di resistenza contro i licenziamenti e la chiusura delle fabbriche, anche nelle forme dure che sembravano dimenticate.
A ondate, singoli settori di lavoratori irrompono sulla scena politica nazionale: i metalmeccanici FIAT a ottobre, gli studenti dell’Onda, i precari della scuola. Certo, non è detto che vincano ma almeno si muovono. Tra i metalmeccanici, e in molte altre categorie, si registra un malessere sempre più diffuso verso rinnovi contrattuali sempre più a perdere, sui quali pesa anche la riforma dei contratti.
In questo quadro ci preme evidenziare due ostacoli fondamentali e una considerazione di fondo.
1. La mancanza di un fronte unico di lotta di tutti i lavoratori. Il padronato porta avanti i suoi attacchi approfittando di questo e contro questo lavorando. Il sindacalismo “istituzionale” (confederali in testa e sindacalismo autonomo e corporativo) non svolge in alcun modo un ruolo unificatore; al contrario, porta avanti una politica di parcellizzazione delle lotte al fine di governarle e controllarle, usandole per una contrattazione che si muova entro i limiti delle esigenze dell’economia nazionale. Per il resto, il sindacalismo di base e i comitati spontanei di lavoratori non si sono ancora dimostrati in grado di avanzare significativamente in questa direzione. Resta però il fatto che questa è la direzione verso cui oggettivamente la crisi spinge l’insieme dei lavoratori, poiché le condizioni di vita peggiorano – sebbene non allo stesso modo e negli stessi tempi – per tutte le categorie e gli spazi di concertazione e di governo riformista delle contraddizioni si riducono ogni giorno di più.
2. La mancanza di una risposta adeguata al durissimo attacco che un settore specifico della classe lavoratrice d’Italia, gli immigrati, sta subendo. In astratto questo problema rientra a pieno titolo nel primo ma, per la sua centralità, costituisce un ostacolo nell’ostacolo. Il padronato, attraverso i suoi Governi, le sue istituzioni, il suo apparato, le sue leggi razziste, i suoi mass-media ecc., ha messo in atto contro i lavoratori immigrati un'aggressione violentissima, le cui modalità affronteremo in dettaglio altrove. Qui occorre dire che il razzismo e la diversificazione/limitazione dei diritti civili, politici e del lavoro serve al padrone per piegare questo settore ai propri interessi e, forti di ciò, avere il potere di far abbassare la testa ulteriormente a tutti gli altri settori di lavoratori. Più sarete divisi, meglio potremo sfruttarvi: ecco il motto della borghesia, ecco il succo della sua politica.
3. Con qualche, sempre più sfumata differenza, la politica della borghesia, dei padroni, è in sostanza messa in atto da tutti i Governi e dagli schieramenti di ogni colore, centro-sinistra compreso con la legge Turco-Napolitano, i sindaci sceriffi, le campagne razziste ecc. Non sono forse tutti d’accordo anche quando si tratta di tagliare le pensioni (la riforma dell’ex CGIL Damiano sotto il Governo Prodi-Bertinotti-D’Alema, con Ferrero Ministro!)? Non sono tutti uniti quando si tratta di comprimere i salari, di privatizzare, di tagliare la spesa sociale, di peggiorare la legislazione in materia di lavoro o quando si tratta di spedire militari in missioni all’estero? In poche parole, non sono tutti uniti quando si tratta di affrontare le questioni che segnano uno spartiacque di classe, tra sfruttati e sfruttatori?
Per noi è possibile combattere il razzismo alla radice solo nella misura in cui dal piano culturale e d’opinione si passa a quello delle lotte concrete dei lavoratori come classe. Ridotto esclusivamente a dimensione culturale, l’antirazzismo si scontra, ancor più in questa fase, con la dinamica materiale della crisi, che acuisce la concorrenza tra lavoratori creando terreno fertile per legittimazione e sostegno alle campagne razziste: solo la materialità delle lotte e i loro risultati concreti sono in grado di unificare realmente i lavoratori italiani e i lavoratori immigrati.
Come in ogni paese del mondo, anche in Italia i lavoratori hanno il problema vitale di resistere all’attacco dei padroni, sopravvivere alla crisi, non essere usati come carne da macello sui cantieri e sui fronti di guerra. Per resistere oggi e per vincere domani anche i lavoratori italiani devono superare le divisioni tra occupati e disoccupati, tra garantiti e precari, tra pensionati e giovani ecc., fino ad arrivare a quella tra italiani e immigrati e a fondersi in un fronte di lotta che li veda tutti uniti, più forti e capaci di contrapporsi ai colpi del padrone.
Come Comitato riteniamo utile mettere a frutto questi due appuntamenti nazionali per spingere in questa direzione. Chiariamo brevemente il perché, ove ve ne fosse bisogno.
La manifestazione del 17 ottobre
Una parte delle forze in campo (CGIL, ARCI, componenti di base cattoliche ecc.) si pone sul piano dell’antirazzismo culturale e rifugge con orrore (per CGIL e simili è una scelta consapevole) qualsiasi strada porti a identificare la battaglia antirazzista in primo luogo con la difesa dei diritti dei lavoratori immigrati, tant'è che non si schierano contro il permesso di soggiorno vincolato al posto di lavoro e rifuggono con ancor più orrore ogni ipotesi di legare questa battaglia alla difesa generale del mondo del lavoro. Il motivo è chiaro: più le lotte si unificano e si rafforzano, più aumenta la possibilità che, travalicando quello della rivendicazione immediata, passino al piano politico generale di contrapposizione di classe contro classe.
Questa parte è numericamente maggioritaria.
Minoritaria è attualmente la parte delle forze in campo costituita da comitati di lavoratori immigrati indipendenti (e, dunque, non succubi di questa politica) e dai settori di lavoratori italiani che si pongono sinceramente al loro fianco.
Queste due anime si stanno scontrando anche sul piano molto concreto dell'organizzazione di questa manifestazione; ma nonostante tutto:
 a dispetto dei tentativi politici di metterla in condizioni di non nuocere più di tanto, la manifestazione del 17 ottobre è il risultato di una spinta oggettiva delle lotte e dei bisogni degli immigrati, resi ancor più pressanti dal recente, ulteriore giro di vite governativo e dalla contraddizione apertasi con l'ultima sanatoria-farsa;
 in quanto risultato di questa spinta oggettiva, essa offre l’occasione di dare battaglia politica, di fare chiarezza e di compiere dei passi in avanti verso l'unificazione di questi bisogni e di queste lotte in un fronte unico di classe.

Lo sciopero generale del 23 ottobre
Lo sciopero è proclamato dal sindacalismo di base, e il discorso è, in un certo senso, complementare. Il nostro Comitato non è legato a un sindacato o a un settore di sindacati in particolare. Tra noi vi sono delegati sindacali di diverse sigle, CGIL compresa. Noi non facciamo i portatori d’acqua al mulino di nessun sindacato. Siamo ben consapevoli dell'arretratezza del movimento sindacale e operaio italiano, anche di quella del sindacalismo di base.
Nonostante le diverse “appartenenze”, riteniamo nostro compito e nostro dovere valorizzare qualunque momento – minoritario quanto si vuole – di unificazione delle lotte isolate in un tutto unico. Quello del 23 ottobre è, non a caso, l’unico sciopero finora proclamato di tutte le categorie contro la politica del Governo nel suo complesso; e rischia di essere tale ancora a lungo. Per questo riteniamo importante invitare i lavoratori e i delegati di qualsiasi tendenza sindacale a non perdere questa occasione.
Organizziamoci! Diamo battaglia politica dentro e fuori i posti di lavoro e sul territorio per propagandare e organizzare l’unità di tutti i lavoratori contro la politica della borghesia e dei suoi governi!
UGUALI DIRITTI, UGUALI SALARI. SOLO UNITI SI VINCE!
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Di fronte al dilagare del razzismo di Stato e a leggi
sempre più discriminatorie ci rivolgiamo a tutti i lavoratori e i delegati


A quelli italiani diciamo:
«Lottate a fianco degli immigrati, perché in questo modo aiuterete anche voi stessi. Senza diritti gli immigrati sono costretti a subire di tutto, a lavorare come bestie e con paghe da fame. Nei cantieri, nelle fabbriche e nei servizi i padroni e i padroncini sfruttano questa situazione per ricattare anche i lavoratori italiani, per indebolirne il potere contrattuale, per attaccare i salari e i diritti.
Respingete le campagne razziste dei governi e della stampa con cui si vuole scatenare una guerra tra poveri e, al contrario, iniziate a vedere negli immigrati non dei pericolosi concorrenti, ma dei lavoratori con cui iniziare a lottare ed organizzarsi comunemente.
Quanto più saranno ricattabili gli immigrati, tanto più lo saranno anche quelli italiani. Quanto più saranno forti gli immigrati tanto più lo saranno tutti i lavoratori».
A quelli immigrati diciamo:
«Venite dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa dell’Est e dall’America Latina. Venite da quella parte del mondo che ogni giorno viene impoverite e devastata dalle politiche e dalle guerre delle nazioni ricche. Siete costretti a lasciare i vostri paesi per tentare di costruire un futuro migliore per voi e per i vostri figli. Siete venuti in Italia e in Occidente carichi di speranze, ma qui avete trovato razzismo e supersfruttamento. Per le aziende e per tutta l’economia italiana siete ormai indispensabili, ma vi vogliono tenere come schiavi con pochi o senza diritti.
È ora di organizzarci, di difenderci e di rivendicare i nostri diritti tutti insieme.
Non fatevi dividere per nazione di provenienza o per fede religiosa. Non fatevi dividere tra chi ha e chi non ha il permesso di soggiorno. Non fatevi mettere gli uni contro gli altri, ma iniziamo a lottare uniti per rivendicare pieni diritti per tutti gli immigrati, il permesso di soggiorno per tutti senza condizioni e l’abolizione integrale della Bossi-Fini e di tutte le nuove norme razziste».
Per questo chiediamo a tutti i lavoratori e i delegati italiani e immigrati di aiutarci a preparare concretamente con assemblee e discussioni nei posti di lavoro la MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO IL RAZZISMO del 17 OTTOBRE.

Comitato Immigrati in Italia (Roma)

Comitato Lavoratori Immigrati e Italiani Uniti






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